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feriva andare a piedi, « dicendo che cosi sta bene al– l'asino di san Francesco». Per lo piu accoglieva i ricor– renti in chiesa, accanto alla porta, dove sostava fino all'ora di pranzo e quindi dal vespro in poi. Un giorno, dinanzi a un ennesimo sollecito per visite domiciliari, il padre guardiano, Giuseppe Maria da Nizza, protestò: « Ma come mai tutti vogliono fra Crispino, e niuno ha carità per fra Crispino ? ». Mentre ancora parlava, fra Crispino si fece avanti e disse: « Padre superiore, se la difficoltà consiste nella mia sola impotenza, consoliamo subito questo no– stro prossimo, perché io posso ed ho forze sufficienti per andare a visitare l'infermi ». L'ultima malattia, una polmonite, colpi fra Crispino il 13 maggio 1750. Prima di quel giorno s'era andato li– cenziando dai suoi amici. Al principe Barberini disse : « Bisogna andarsene, bisogna andarsene alla nostra sta– bile dimora». Il brav'uomo, credendo che alludesse a lui, inorridi, ma fra Crispino chiari presto l'equivoco. Un giorno un suo compaesano gli suggeri di ricordarsi della Passione. Egli rispose: « Ah si, p. Angelo Antonio, in questa tengo poste tutte le mie speranze ». Quando l'in– fermiere lo avvisò che la morte era ormai vicina, pro– ruppe in queste parole: « Laetatus sum in his, quae dieta sunt mihi ». Comunque, egli assicurò l'infermiere ed altri che non sarebbe morto né il 17, né il 18 maggio, per « non turbare la festa di san Felice». Infatti, mori il giorno 19 maggio 1750, alle ore 14,30. Negli ultimi giorni ripeteva spesso la preghiera : « Compisci, o mio Dio, l'opera delle tue misericordie, e per li meriti della san– tissima passione del mio signor Gesu Cristo salva quest'anima mia ». Il concorso di popolo per venerare la sua salma fu indescrivibile. Uno dei soldati che prestarono servizio d'ordine, Guglielmo Marini, con espressioni pittoresche, 39

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