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lo stesso fra Crispino che, con grande sacrificio, dovette rinunciare a servirsi dell'ospizio per mangiare un boccone di pane e riposarvi. Ma, se nulla egli aveva da eccepire quando si trattava di pagare con sacrificio personale, era invece irremovibile dinanzi a questioni di principio che mettevano in giuoco il suo ideale. Capitò cosi nel 1715, quando il nuovo guardiano, p. Francesco Antonio da Port'Ercole, nel prendere la direzione del convento, or– dinò a fra Crispino di questuare denaro. A Port'Ercole, fortezza spagnola, il guardiano era cresciuto tra le caserme: non era quindi abituato a pazientare e ancor meno ad essere disobbedito. Perciò, dinanzi alla resistenza di fra Crispino, deciso a non violare la regola, lo fece allon– tanare da Orvieto. Fra Crispino parti per Bassano, di dove, dopo circa tre mesi, fu di nuovo richiamato a Orvieto, a istanza della famiglia religiosa. Il convento era ancora governato dal p. Francesco Antonio da Port'Ercole, co– stretto a rinunciare alle sue pretese e che finirà misera– mente fuori dell'Ordine. Fra Crispino riteneva che la penitenza fosse una com– ponente essenziale della vita religiosa. Non c'è perciò da meravigliarsi se diceva « che il vino buono non stava bene nella mensa de' cappuccini, ma nella mensa de' signori», oppure se portava in convento « il pane piu inferiore >> ossia il peggiore che si confezionasse in Orvieto, questuato presso i contadini, affinché - cosi diceva so– vente - « i religiosi si ricordassero che erano cap– puccini>>. Capitava pure che, sentendo lodare la bontà del vino, corresse in cantina a «battezzarlo>>. Di qui le ire di alcuni religiosi poveri di spirito. I più si limitavano a brontolarne; qualcuno lo affrontava gridandogli che non era capace di provvedere ai bisogni della comunità come si conveniva. 23
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