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lattia, entrava nei monasteri per consolare e disporre le inferme a ben morire. Ebbe relazioni di calda amicizia con piu religiose, che visitò e incoraggiò fino agli ultimi giorni della sua vita. Eppure, molte pagine dei processi lo pre– sentano in atteggiamento severo e diffidente verso le abi– tatrici dei monasteri. Un teste disse: « usava poche pa– role e severe, ed alle volte le sgridava»; spesso le ammo– niva a fuggire « l'ozio delle grate, imperocché in queste altro non si acquistava che l'affetto del secolo... era il maggior loro precipizio». Ci è giunta pure l'eco della parola, ancora una volta serenatrice e illuminante, che fra Crispino non temeva di rivolgere a sacerdoti e teologi. Cosi, al p. Michelangelo da Reggio Emilia, predicatore apostolico ed esaminatore dei vescovi, rispondeva : « Amiamo, padre carissimo, amiamo Dio di tutto cuore, e ci salveremo>>. E all'abate Palmilli, restio ad accettare l'arcipretura di S. Elpidio: « Cammina, e va' a lavorare nella vigna del Signore, ché, salvando l'anima altrui, salverai ancora la propria». Il parroco di S. Venanzio, in diocesi di Orvieto, era pessimista circa la salvezza di molti cristiani; dubitando delle loro disposi– zioni, negava i sacramenti anche in punto di morte. Fra Crispino, dimorando presso di lui, fece cadere il discorso sull'angoscioso problema e, dopo avere ascoltato il prete, gli disse di amministrare i sacramenti com'era suo « do– vere >> e di non cercare « di saper di piu, poiché la divina misericordia è stata l'autrice de' sagramenti e la divina misericordia ne sarà il compimento». 21
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