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e non mancava di farlo, soprattutto quando si trattava di cose di fondamentale importanza per la vita cristiana. Si sentiva un missionario (aveva chiesto invano di andare tra gli infedeli), specialmente verso i poveri ignoranti. I parroci dell'Orvietano « lo chiamavano l'apostolo e il missionario » della montagna. Infatti egli, specialmente la sera, nei suoi giri di questua per paesi e villaggi del– l'Orvietano, istruiva « li ragazzi e poveri contadini nelli misteri principali della fede e dottrina cristiana con gran profitto di quell'ignoranti, perché egli tante e tante volte gli faceva ripetere le medesime cose, fino a tanto che sì assicurava che l'avevano imparate». Il suo era un ma– gistero non solo gradito ma ricercato: infatti, nelle feste, venivano « a trovarlo specialmente li poveri contadini, ed egli, senza altri discorsi», continuava a catechizzarli. Ma i contadini non erano i soli che venivano a bus– sare alla porta dell'ospizio. Un testimone depose ai pro– cessi: « Ogni piccola cosa che succedeva in Orvieto, su– bito si ricorreva a fra Crispino». Le cose a cui egli allude sono le liti: tra fratelli, tra coniugi, tra privati cittadini, tra consorterie e autorità civili e religiose. Lasciando da parte la lunga e complicata esemplificazione che si po– trebbe addurre, citiamo ciò che il vescovo Giuseppe da Marsciano ebbe a dire, con le lagrime agli occhi: « essen– do partito fra Crispino, aveva egli perduto il paciere e la concordia medesima della sua città e diocesi». Da vicino e da lontano, moltissimi accorrevano a fra Crispino per consiglio, come si farebbe col illuminato direttore di spirito. Si voleva sapere da lui se era bene sposarsi e con chi, oppure come superare dissapori fami– liari. A chi era ossessionato dall'idea di dannarsi, diceva: « Basta che osserviate li comandamenti di Dio e della Chiesa, che andarete in paradiso dritti dritti». Al suo compagno fra Domenico da Canepina, che si sentiva pri- 19

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