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509 Trattato XVII. Spiegó delle Propofiz. cond. da dde Jon iro PI, fo , nel quale fi dichiara per falía praticas MEDIE +. 178, Dico primieremente; che il Popolo, che lenza canía non riceue la legge promuiga- ra dal Principe, pecca 3 8: ¡il dire ¿l contrario e quejlo, che formalmente fi condanna nella pro. pofiaione 28, econ ragione, perche il Popolo e obbligato rbbidire al fuo Principe: Atqui, fe potefle non ricevere je fue leggi fenza peccare, non farebbe obbligaro d »bbidirlo+ Adungua pecca il popolo , che fenza cauía non ricene la legge promulgata da] Principe: E quantum» que in quefta propofiziove folo fi dica, che pec» ca, leuza fpiegare, le quefto fia peccato mor- tale , O veniale; ha pero da tenerá , che; le la materia della legge foie grane , peceherá mora ralmente, il Popolo, che fenza eanía non la ricene ; e le fofle Igggiera , peccherá venial- mente come s'é detro di fopra, mum. 116.6 PR. 11D. 179. Dico per fecondo , che non fi condane na il dire , che il popolo , che con ginfta eauía pon ricene la legge promulgáta dal Principe, non pecchera ; perche la propobizione condan. pará dicena , che non peccaya il Popolo , ches fenza alcona cauía non ricene la legge promo!. gaca da! Principe ¿ e quello , che lo dico € , che pos pecea in non riccuerla, auendo ginfta cau- , Né meno (i condanna l'opiajone , che dice, chela legge noa ricenuta dal Popolo nen ob. bliga in cofcienza ; come eco Lumbier , € Tor. recilla dilli nel luago cirata delle Confer; mum, 3: Ne meso fi. condanna jl dire, chela legge non promulgata non ebbliga ; poiché dicena la, propofzione condannara , che; quancungue fofle prombigata , non peccaua il popolo in poo ticeuerla: Adhoque non fi condannerá il dire, cheog pecca il popolo in non ricenere la legge non promolgara, ne tampoco peccano quelli, che non l'ofíeruano + 180. Da queña Doctrina s'inferifce, non efíer condannate le cofe feguenti, che añerij vella Conferenza 2. citata y Primo , che non ob. ligano le leggi del Principe fecolare, fe non fono riceunte , quando il popolo gliabbia data la poceíta Iegislaciua di far leggi, con condi» ajoac, che il Popolo la ricena y Secondo , che non cbbligano le leggivmane non ricenuce, quando s'cr porgono a qualche Foro, d cofiua me rctunto dal Pepolo, O quando fono gra- nofe, e difheili ad otiernaríi, ecadem confer. nun, 5. num. Bat neo 9: Terzo, che non obbligano le iceggi Pobtificie, e Cinili, fil Legislacore, viudo ,chenon í riconoro, ae ofieruano, pcs jolla perla (va oferuanza + ibidem num. 10. elofleño, fe ha preicrto contro la legge le. giuin 2 coníperudice, ibid. mum. 18. Quarco, ehe non pucca il Popalo, che con cabía iBita una tr plica perialegge úl Principe , che in- cerpofta efa fupplica, (1 folpende per alorg 'obbligo della legge ; ibid. nuno, 17. e 8.Quio+ ro , che la legge nou obbligk., quando ( dubira le fía ricenura ¿0 10 ibid, mum; 4 E» Niuna di quefte dotcrine € condannara ; per: ché viuna d'efle dice, che il Popolo non peoca in non riceoere fenza cauía qualche lesge, che promulgó il fuo Principe, ma chede ieggiaon ricevute , O che fidubira della joro riccazione, non obbligano : li che € coía molto diuería da quello, che affermaua la propofizione condan» pit. Propofizione XXIX. Condaonara, Chi in giorno di digiuno mangia molte volte pocg quantitd , quantunque al fine abbia mangiato qhansitá nosabile , non rompe il digiuno, 181, Vppongo , che il digiuno vuoles che oltrel'aftinenza dalla carne , (i face cia con yoa lola comeftione; e bene ché G permerca la collazione , quefta peró non fi chiama formalmente comeftione ; Suppongo anche, cheil pieliar vna paruicd, noo frangs grayemente il digjuno : Se fi piglia fenza necela fica alcuna [3d peccaro veniale, f come e, pee. caro veniale rubare vna quancica leggiera , úl mancar a piccola parce delia Mea , 8gc. yero €, che poca cauía e baítante , per Ículare dal pec- caco veniale il mangiare poca, e cenviffima quancitd in giorno di digiuno : e quelta pat= uicd dice Digna part, 5. Trat, $. refol. 113 ch6 € la quanritá di due oncie, 192. Dico primieramente , che quello, che ja giorno di digiuno piglia molte paruicd, (e voice cucte afieme fanno quencicá norabile; crafgrediíce il digiuno ; € il dire ¿l contrario é ceníurato per improbabile in quefta propofi- zione 29: 1l che ha de intenderí , ó pigliandof guefte paruirá con volourá antecedence di mangiarle tucce la vn giorao ; 0 ú piglino a ca- lo , Bl ex accident, per occorrere occafñoni dis períe in va giorno ftefío di pigliare : Sc € la ras pone porche quefte pargicá Á contiauano ncl- o fíomaco in ordine al nutrimento ; Adunque il pigliare in vo giorno fa ex intento, 0 ex ac» cidenci , lara eralgredir il digiuao quando tur- E efle ynice coafticuifcono quantitá notabis e. 183. Dico per fecondo , che anche (fi con- danna l'opivione, che con aleri afíeri Leandro del facram. part. 3. Trac. 5. difp. 5. que. 10; che dicena , che e lecito in giorao di digiuno. tutce le volce, che fi beue, pigliare qualche par- uicá , accio il bere non faccia danno , quando quelo non fi fa in frode del digiuno + )Luamuis hane opinionem- non dansnari fentias cum Prado, Torrecilla fuper hane propofit. T rafh. 9. feb: nom. 8. in 3, editione pog, 477. la ragione della nofica con»

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