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456 Mariano D'Alatri la qualità della strada e le persone incontrate, con tanta accuratezza e precisione che, chi oggi voless.e ripercorrere a piedi l'itinerario difficilmente si allontanerebbe di pochi metri dalla via battuta daÌ ministro generale e dai suoi compagni. Sì, il p. Catastini, lungi dal viaggiare solo, portò con sé, in tutto questo tempo, una vera e propria curia mobile, formata da un consultore (il p. Casini, il celebre predi– catore apostolico che poi fu cardinale), sei segretari (uno spagnolo, uno francese, uno tedesco, tre italiani) e tre fratelli laici toscani, ai quali ordinariamente si aggiungevano un paio di religiosi della pro– vincia visitata, per far loro da guida e per provvedere al vitto e all'alloggio, poiché questo collegio apostolico al completo viaggiò, appunto, all'apostolica durante tutto il tempo della visita, confi– dando unicamente nella provvidenza divina e nel buon cuore degli uomini. Ma non bisogna pensare che il diario di frate Filippo sia un monotono e scheletrico registro di orari, di date, di leghe, di luoghi e di personaggi incontrati. No davvero, poiché i quattro volumi in-8°, formato elefante, di complessive circa 2000 pagine che lo com– pongono, costituiscono un'inesauribile miniera di notizie curiose, inedite, interessantissime per la storia civile, sociale, economica, militare, religiosa e folcloristica della fine del Seicento, vista e pre– sentata da un osservatore attentissimo, che ha il raro dono di saper fissare sulla carta fotograficamente persone, luoghi e situazioni.• Si direbbe che egli, invece della penna, abbia usato la cinepresa. Le condizioni atmosferiche, l'ambiente geografico, l'atteggiamento e le possibilità finanziarie delle popolazioni tra le quali viaggiane,, costituiscono gran parte della trama del diario e offrono a frate Filippo l'occasione di scrivere pagine di grande bellezza e potenza espressiva. La marcia forzata dei frati attraverso la' sconfinata e desolata Mancia, dove incontrarono soltanto qualche venta di donchi– sciottesca memoria (oh! le abborrite vente, dove, a dir di fra Filippo, non c'è altro che vento: non pane, non vino, non letto) sono come le stazioni della via crucis attraverso tutta la Spagna; oppure 1a salita del Guadarrama sotto una tempesta di neve, fanno scrivere al frate toscano pagine che reggono al confronto con quelle del testardo arciprete Avvakum, che lo zar aveva confinato in Siberia insieme alla sua famiglia perché vi morisse. Ma tutto si risolve in fioretto da perfetta letizia. Cosi, quando, accecati dalla neve e con gli abiti ghiacciati come tavole e che tagliuzzavano i piedi nudi quasi fossero lame, arrivano alla « venta » di Fuentefrìa, egli, da buon toscano, trova modo di celiare: Eravam diventati tutti certosini, e l'ostessa che, con vigorosi colpi di scopa, cercava di scoprire la nostra identità di cappuccini, non ebbe un gran successo, poiché la neve era diven– tata ghiaccio, e il ghiaccio era penetrato fino alle « vesti di sotto», e dovemmo attendere che il fuoco ci liberasse da quella tunica mo– lesta che non potevamo deporre, poiché non avevamo niente da porci addosso. . Ma frate Filippo, vuoi per spirito di mortificazione vuoi per spi• ritaccio toscano, non annoia davvero il lettore con il racconto deIIe

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