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LE FONTI 163 perché comprometter gli uni cogli altri? E perché metter l'uomo nel– la terribile contraddizione, o di mancare a Dio o di concorrere alla propria ruina? Talché la legge che obbliga ad un tal giuramento co– manda o di essere cattivo cristia– no, o martire. II giuramento divie– ne a poco a poco una semplice for– malita, distruggendosi in questa maniera la forza dei sentimenti di religione, unico pegno dell'onesta della maggiore parte degli uomini. Quanto sieno inutili i giuramenti lo ha fatto vedere l'esperienza, per– ché ciascun giudice mi puo esser testimonio, che nessun giuramento ha mai fatto dire la verita ad al– cun reo : lo fa vedere la ragione, che dichiara inutili, e per conse– guenza dannose, tutte le leggi che si oppongono ai naturali sentimen– ti dell'uomo. Accade ad esse cio che accade agli argini opposti di– rettamente al corso di un fiume: o sono immediatamente abbattuti e soverchiati, o un vortice formato da loro stessi li corrode, e li mina insensibilmente ». mento assai piu rispettabile dei giudici e delle podesta della terra. Nelle procedure criminali del foro si pretende il giuramento da un reo perché dica la verita contro di se medesimo. Ma come supporlo col– pevole deí piu grandi delitti e supporlo ne! tempo stesso sl. cri– stiano, si generoso e dabbene per dire il vero anche a costo di per– dere la propria vita e perderla con ignominia? Qua! contraddizione e mai questa? Ed a che serve un tal giuramento? Ad altro non ser– ve, che a moltiplicar gli spergiuri nell'inquisizione dei malefizii. Un furbo trova facile egualmente lo spergiuro e la bugia: e l'uomo ve– rídico non puo dire piu vero con tutti i possibili giuramenti di cio che dice con una semplice afferma– zione. Ma il giuramento, si dice, e una formalita delle leggi, dalla quale non si puo prescindere nel– l'esame dei criminosi. Ma se una tale formalita, io rispondo, e non giova alla giustizia e nuoce all'ani– ma dei delinquenti, perché non si toglie da chi puo e <leve mutar le leggi, quando invece di esser utili si trovano perniciose? ». Ma non sempre le fonti rimangono cos1 allo scoperto. Nella maggioranza dei casi esse sono, infatti, irriconoscibili. Il Turchi si appoggia, per cosi dire, al modello solo per sostenersi e crescere, abbandonandosi poi all'originalita. Non e percio sempre facile sco– prire le oscure e profonde parentele delle prediche del cappuc– cino con la letteratura illuministica o para-illuministica del tem– po. La medesima di:fficolta si nota anche nei riguardi della secon– da categoría di fonti, cioe gli autori giansenisti o filo-gianse– nisti. Su questa classe abbiamo, pero, ben poco da aggiungere a quanto abbiamo gia detto parlando dei rapporti del Turchi con il giansenismo. Gli autori piu usati sono ancora il Nicole, Essais de morale (L'Aia 1686-1696, 9 voll.); il Duguet, Institution d'un p,rince, ou, Traité des qualités, des vertus et des devoirs d'un fwuverain (Londra 1753); Floriot, Morale cristiana nella Orazione Domenicale (trad. da Felice da Napoli, Napoli 1747-52, 9 voll.); Mésenguy, Esposizione della dottrina cristiana (Venezia 1761, 3 voll.): libri che appaiono egualmente fondamentali. Il Quesnel, invece, non compare piu nelle Prediche a corte; poche volte la
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