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494 Uzaro lriarte sacra Scrittura e precipue il Nuovo Testamento, sed maxime il sacro Evange– lio, acciocché, essendo noi evangelici predicatori, facciamo etiam i popoli evangelici» (IX,117). I frati «in ogni operazione devono avere davanti agli occhi il sacro Evangelio» (XIl,141). c) Ma dove più appare l'impronta della spiritualità neotestamentaria - diciamo piuttosto paolina - del primo cinquecento italiano è nella centra– lità della persona e del mistero di Cristo nelle Costituzioni. Non si tratta del semplice «cristocentrismo» teologico, di tradizione francescana, ma di una fede e di una pietà il cui filo conduttore si allaccia a san Francesco e a san Bonaventura, e diventa esperienza mistica. Cristo è il centro di riferimento dell'impegno evangelico sotto ogni aspetto; questo impegno in realtà consiste nella sequela e nel discepolato del «dolcissimo Gesù», Verità infallibile, unico Maestro, specchio senza macchia, luce, via, verità e vita, somma Sapienza, in cui sono tutti i tesori della sapienza e scienza di Dio. I predicatori sono esortati a «imprimersi Cristo benedetto nel cuore e dargli di sé possessione pacifica acciò, per re– dundanza di amore, Lui sia quello che parli in loro, non solo con le parole, ma molto più con le opere, a esempio di Paolo, dottore delle genti...» (IX, 112). Non sono soltanto le espressioni, inesauribili e prettamente bibliche, ma l'unzione che le ispira, a comunicare al testo un fascino peculiare e una unità sostenuta dal principio alla fine, culminando nell'inno finale al Cri– sto, Dio e uomo, cifra di tutto il nostro bene. L'intero lessico paolino viene esaurito quando si tratta di «Cristo benedetto». In Lui solo il vero cappuc– cino trova il perché delle sue scelte, la sua identità. d) Le Costituzioni del 1536 rivelano, inoltre, un senso di creatività, una notevole intuizione dei «segni dei tempi», che si manifestano anzitutto nel vigore profetico con cui oppongono uno stile di vita povero e austero a tutto quello che c'era di antievangelico nelle aspirazioni della società rina– scimentale; e più ancora nell'eroica decisione di avere un padrone imme– diato di ogni convento, in sostituzione del dominio lontano della santa Sede (VI,69); poi nell'impegno assunto, a livello di provincia, di venire in– contro al bisogno dei poveri in tempo di carestia, condividendo con essi le proprie risorse (VI,85), e di assistere i malati in tempo di peste (VI,69). Più audace ancora è la rinuncia solenne ad ogni privilegio ed esen– zione nella Chiesa, perché «nemica della umile e minoritica subiezione... e per conformarci all'umile Cristo crocifisso» (1,8). Nella revisione fatta nel capitolo generale del 1552, «per una più age-
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