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LA PARTECIPAZIONE DEL DIVINO: DALLA SEMPLICE APPLICAZIONE ALLO SPOSALIZIO CELESTE P. Ldzaro Iriarte, OFMcap. Docente all'Istituto Francescano di Spiritualità del Pont. Ateneo Antonianum. Quando ci avv1cmiamo ai grandi mistici, scopriamo come una nuova dimensione di Dio. Ci accorgiamo cioè che, oltre il Dio della fede, trascendente, causa di tutto, creatore e salvatore, e oltre il Dio della teologia, spiegato analogicamente, esiste il Dio dell'esperienza umana. Il termine è audace, ma è così: Dio si lascia sperimentare, assaggiare, secondo una espressione cara alla nostra Santa: « Provai un non so che, che non posso spiegare, certo saggio di godimento di Dio solo», scrive 1'8 settembre del 1700 (D II,737); e il 15 gennaio del 1717: « Iddio, questa mane, mi si è fatto sentire in modo speciale con la sua presenza ed il suo amore, e mi ha fatto penetrare e dato un saggio di sé, con tirarmi a sé con amore» (D III,1048). Dio, il sommo Bene, si fa sperimentare sempre come amore, perché è l'Amore. Si comunica all'anima per via di amore (III,492) e, sempre per via di amore, le fa sperimentare le profondità del proprio essere insondabile: Esso dà qualche saggio all'anima dei suoi attributi divini, in un modo che non si trova modo di raccontarlo» (D III,209). « Mi fa partecipare un non so che del divino ». Ecco una altra espressione equivalente che troviamo ripetuta spesso nel Diario a partire dal luglio 1706 (D III,346, 386, 557 ... IV,89, 165, 855). In questa progressiva partecipazione, che negli ultimi anni diventa « saggio dell'unione beata » quasi abituale, Vero– nica sa di percorrere una strada tutta eccezionale. Si sente oggetto di un amore di predilezione; è convinta che Dio è

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