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660 BARBARA FAES DE MOTTONI (e per altre ragioni) debba sconfessarla pubblicamente. Ella ben vede quanto sarebbe per me doloroso il dover sconfessare il lavoro d'un mio confratello di Provincia, e più ancora, d'un mio lettore, a cui debbo e professo stima, affetto, riconoscenza. Il pub– blico poi crederebbe che nella nostra Provincia fossero già due scuole di S. Bonaven– tura e che io o Lei fossimo spinti da invidia, o da vana gloria, o da tenacità di opinioni diverse". E terminava la detta lettera dicendo: "Ho fatto queste stesse osservazioni al Rev.mo ed egli le trova giuste, ben fondate e le approva interamente". Io era così leale e sincero quando scrissi le dette cose, come quando scrissi a S. P. Rev.ma e feci dire al p. l. Antonio che mettesse una nota alla fine del Breviloquio riguardante le tesi che mi ha tolto. Agli autori viventi si usano maggiori riguardi, ma però la verità va anteposta a tutti e a tutto: amicus Caesar, amicus Plato, sed magis amica veritas. E come io non manco di carità censurando gli autori che hanno rubato a S. Bonaven– tura opere genuine, o togliendo a S. Bonaventura ciò che altri falsamente gli attri– buisce, così io non mancherò di carità rivendicando il mio, e dimostrando che altri errò nell'intendere S. Bonaventura. Io stesso mi espongo alle censure del pubblico nel mio lavoro e nelle mie appreziazioni. La legge del vero e del giusto è uguale per tutti, ed una cosa non diviene più o meno vera, più o meno giusta per ragione delle persone in cui si concreta, ma in causa degli immortali principii che discendono dal sommo vero e dal sommo giusto. Posta questa inevitabile necessità, conchiudo: per non in– trodurre e perpetuare nella nostra Provincia una divisione, lascio che il p. l. Antonio, vi stia solo: io ne sono fuori e resto. Il giorno in cui non dipenderò più immediata– mente dal Ministro Generale dell'Ordine, dimanderò di passare ad altra Provincia, e, intese le mie ragioni e circostanze, spero non mi sarà negato [...] (Lettera del 12 maggio 1874, AGOFM, Collegium Quaracchi 1, SK 487, cc. 410-4lla; Meneghin, 111 nota 21; Pizziolo, 265-268; Buffon, 686). La storia a questo punto è conclusa. Fedele riprende i suoi fatiganti viaggi in Italia e in Europa; il Borgo dal 1874 al '77 è a Roma, quindi ritorna nella Rifor– mata Provincia Veneta in qualità di Provinciale; chi sa, pubblicamente tace e non può fare diversamente in seguito al successo editoriale del lavoro del Borgo. Ciò si può notare ad esempio dalle descrizioni della composizione del lavoro di Antonio Maria fornite qualche anno dopo rispettivamente da Ambrogio da Castelfranco e da Ghedina: il primo con una certa astuzia censura l'argomento "sommari-tesi" 84 , 84 "In filosofia poi e teologia ebbe a maestro [se. Fedele da Fanna] il dotto P. Antonio Maria da Vicenza[...] ben noto alla repubblica letteraria per le sue lodatissime pubblicazioni, tra le quali il Breviloquio di S. Bonaventura con note saggiamente ricavate dalle altre opere del Serafico Dottore, oppure dalla scienza teologica secondo lo stato della medesima ai nostri gior– ni e con l'aggiunta di schemi, che mettono sott'occhio, in ragionata compendiosa forma, tutta
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