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658 BARBARA FAES DE MOTTONI sia anche questo per amor di Dio e del S. Dottore, ma mi riservo i miei diritti, e quelli eziandio di S. Bonaventura che il p. l. Antonio non intende bene. Le avrò dato senza dubbio grandissima pena colle mie lettere per la loro forma risen– tita, ché quanto alla sostanza non mi pare d'aver rettificazioni a fare; e Le ne doman– do perdono, e spero che mi vorrà perdonare, perché io non mi sono sfogato che con Lei, quando avrei potuto sfogarmi ben altrimenti. Avrei fatto male, ma il p. l. Anto– nio mi vi avrebbe spinto. E per non lasciarvimi spingere, ho sofferto assai entro me stesso[...] (Lettera del 5 maggio 1874, AGOFM, Collegium Quaracchi 1, SK 487, c. 408; Pizziolo, 260-261). Fedele perdona, ma non si riconcilia. Come dirà nell'ultima lettera a Bernar– dino intorno a questa storia - lettera in cui rammenta la sua rigorosa scelta di campo, che incurante delle facili lusinghe del successo, lo ha portato a un lavoro impegna– tivo, lungo, del tutto nuovo e radicale di edizione dell'intero corpus bonaventu– riano, diverso per impostazione e messa a punto da quello ideato inizialmente da Bernardino - il Breviloquio di Antonio Maria ha eretto un muro di divisione, da Fedele già previsto nella famosa lettera da Saint-Trond e che potrebbe cadere sol– tanto se egli abbandonasse l'impresa della sua grande edizione del corpus bonaven– turiano. Ancora una volta egli insiste sulla lealtà del suo comportamento in tutta questa faccenda: ha avvisato in tempo che forse un giorno avrebbe potuto scon– fessare pubblicamente il lavoro del confratello perché scientificamente inadeguato, e più tardi ha richiesto inutilmente il giusto riconoscimento della paternità delle sue tesi. E come in ambito scientifico opera di carità, ovvero di giustizia, si fa nel ristabilire la veridicità dell'attribuzione di un testo, o censurando l'autore sotto il cui nome passa un'autentica opera di Bonaventura, o smascherando false attribu– zioni a costui, così egli non manca di carità quando rivendica appunto ciò che gli è dovuto e dimostra i fraintendimenti interpretativi del confratello. Fedele sa bene che nessuno dei due è disposto a recedere: né lui per giusto e motivato orgoglio personale, e perché l'impresa che ha avviato malgrado le continue difficoltà, la cro– nica penuria di collaboratori e defezioni, è troppo avanzata e importante per essere abbandonata; né Antonio Maria da Vicenza perché esplicitamente richiesto di far ammenda, ha continuato imperterrito per la sua strada. Fedele inoltre comprende che la salomonica ed equidistante posizione di Bernardino in questa vicenda, ridu– cendo tutto il dissidio ad una incomprensione di temperamenti, è un'abile via d'uscita per non sacrificare il lavoro di nessuno dei due (o meglio quello del Borgo), perché la posta in gioco è grande: si tratta di onorare il Centenario bona– venturiano - dopo un lungo periodo di crisi dell'Ordine, di chiusura in se stesso, e

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