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654 BARBARA FAES DE MOTTONI Bernardino non perde tempo, a stretto giro di posta, scrive - lo stesso giorno, il 3 maggio - ai due contendenti: il contenuto delle due lettere (di quella a Fedele abbiamo a disposizione la minuta, che fa riferimento alle tre inviategli precedente– mente82) è sostanzialmente il medesimo, ma il tono è differente: ufficiale, imperso– nale e anche leggermente ipocrita nei confronti di Antonio Maria da Vicenza, perché - a fronte della dura accusa di denigrazione della persona di Fedele e di ostacolo alla "nuova edizione" di costui, invocate dal da Fanna - della prima non chiede conto e della seconda abilmente scagiona il Borgo in nome di una sua pre– sunta nobiltà di sentimenti; più conciliante, affettuoso e incoraggiante nei con– fronti di Fedele, sollecitato a proseguire coraggiosamente, anzi generosamente nella sua impresa senza badare a lodi o a biasimi. Bernardino diplomaticamente non prende posizione su ciò che sta più a cuore a Fedele: l'utilizzazione delle sue tesi da parte di Antonio Maria per compor– re i sommari; infatti, malgrado l'inequivocabile lettera del 25 aprile del da Fanna, afferma, e non senza ragione, che i sommari incriminati si possono benissimo comporre anche senza ricorrere alle tesi del da Fanna, dal momento che le tesi si trovano già alla lettera nel Breviloquio e basta solo enuclearle. Non solo, riconduce tutta la faccenda a un banale scontro di caratteri: l'uno ha verso il confratello una disistima e un'antipatia immeritate, l'altro, che tutto sommato è un bonaccione, esagera, non ha doti diplomatiche; dunque tutti e due hanno torto. In conseguen– za di ciò, a favore di una ricomposizione tra i due non invoca - come vorrebbe Fedele, che su questo non transigerà mai - il ristabilimento della verità dei fatti per un senso di giustizia, ma un principio superiore, la carità fraterna, che ambe– due devono mettere in atto. Scrive infatti Bernardino: all'edizione delle opere di S. Bonaventura ed avrebbe gran piacere se non potesse continuarsi. Inoltre volendo egli, finita la stampa del Breviloquio, ritirarsi a Rovigno col p. Giovanni [...] anche per questo aveva interesse che il p. Gianfrancesco venisse sciolto dall'ufficio di collabo– ratore.[...) Nello stesso giorno 19 (di Aprile) il p. l. Antonio mi donò [non "rubò", come invece trascrive Pizziolo) il Breviloquio, intorno al quale (cioè alle tesi rubatemi) non parlai punto a S. Michele e neppure qui, eccetto che col p. Lodovico e col p. Giovanni, che venne alla Vigna il giorno 20, o salvo il vero, il giorno 21. Se il Provinciale, per chiederle di poter rimuovere il p. Lodovico, ed il p. Gianfrancesco per essere sciolto dall'ufficio di collaboratore, le scrissero, dopo la mattina del 20 ovvero del 21 aprile, il p. I. Antonio (al quale mandai dire pel p. Giovanni ch'io voleva servirmi della roba mia come mia) potrebbe non essere estraneo del tutto in quelle due lettere" (Lettera del 29 aprile 1874, AGOFM, Collegium Quaracchi 1, SK 487, cc. 403- 404; Pizziolo, 258-259). Bernardino risponde a questa lettera sempre il 3 maggio 1874. 82 Ovvero le lettere del 25, 28, 29 aprile 1874.

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