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652 BARBARA FAES DE MOTTONI tolinea puntigliosamente l'originalità del suo lavoro intorno al Breviloquio durante il suo insegnamento, la fatica costatagli e ridimensiona drasticamente i millantati meriti di Antonio Maria. Costui - protesta il da Fanna - ha compilato le tavole per il Breviloquio, non i sommari. Per la composizione di questi ultimi infatti si è surrettiziamente avvalso delle tesi che egli - Fedele - con sforzo ha ricercato, individuato, ordinatamente distinto ed enucleato da ogni paragrafo del trattato, e a riprova di ciò egli è in grado di esibire copia completa di esse fatta a suo tempo dal p. Basilio. L'averlo avuto in passato come suo Lettore - insiste il da Fanna - non pregiudica minimamente che la distinzione delle tesi sia opera unicamente sua, dovuta alle sue fatiche, al suo metodo di insegnamento (il sistema), opera che ha la sua fonte ispiratrice in Dio, nell'antico progetto di Bernardino stesso, non in Antonio Maria, che è solo l'ultimo anello di questa filiera 80 ! in dovere di prevenirla, affinché Ella colla sua autorità ne rintuzzi, se egli vorrà ubbedirle, la su– perbia dalla quale quell'infelice è acciecato, o almeno si astenga dall'insultare i suoi Confratelli, che non gli diedero, né gli danno alcun motivo di sì basse e vili rappresaglie. Arrossisco di essere stato suo Lettore e Dio non voglia che egli non divenga un altro p. Barnaba da Bologna col quale ha molta rassomiglianza" (Lettera del 20 aprile 1874, AGOFM, Venetia S. Antonii Ref. 1866-1875/2, SK 728, c. 385v). Come si può notare, la reazione di Fedele fu indubbiamente violentissima. so "Il p. I. Antonio fa vedere per motti e chiari segni di non essere più quello che era una volta. Dopo la lettera ch'io gli scrissi da St. Trond, consigliata ed approvata da S. P. Rev.ma, egli concepì tanto dispetto contro di me, che non solo scrisse a Lei quella lettera violentissima ch'Ella mi comunicò, <ma cominciò> eziandio ad osteggiare più o meno velatamente, ma in modo che fu capito da molti, e me e l'impresa dell'edizione delle opere di S. Bonaventura. Temo che insieme all'instabilità del p. Gianfrancesco, concorrano anche le istigazioni del p. l. Antonio a far sì che quegli voglia assolutamente cavarsi dall'ufficio di collaboratore [...]. Parlan– do io di ciò al p. Gianfrancesco, questi mi disse ch'io non dovessi badare al p. l. Antonio, perché questi parlava così nel proprio interesse [...] Il p. Giovanni da Rovigno, essendo venuto alla Vigna il 20 aprile, ebbe coraggio di negarmi che il p. I. Antonio si fosse servito delle mie tesi [cf. anche lettera 25 aprile]. Siccome io mi sarei aspettato che egli <non> potesse negare una verità, della quale lui stesso ha piena coscienza, mi venne dispetto, e gli dissi che o sono un falsario io, o lui è un pedante ed un partigiano. Ho fatto male, lo confesso, ma è la pura verità. Come si può egli dir bianco al nero, e nero al bianco? Il p. I. Antonio non ha mai fatto sommarii dal Breviloquio: egli ha fatto tavole. Per fare quelli egli si è servito delle mie tesi o ad literam, o compendiandole, o modificandole, o sconciandole: ecco la verità. Perché le tesi ed i sommarii siano giunti, bisogna appunto cavarli dal Breviloquio. Tutti potevano sforzarsi di trovarli e di cavarli, ma il dire d'averli trovaci e cavati, dopo aver visto ed essersi servito del mio lavoro, è un sotterfugio, una menzogna, e questa io non mi aspettava né dal p. Giovanni né dal p. l. Antonio. Il lavoro ch'io farei sul Breviloquio non è, come mi fa osservare S. P. Rev.ma, lo sviluppo
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