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BONAVENTURA E MALEBRANCHE 195 cipio fondamentale, non sviluppato in tutte le sue implicazioni, è che non si può fare una cosa se non se ne ha un'idea puntuale. Come produrre in modo razionale una cosa di cui non si conosce né come si fa né perché occorra farla? Dio è l'unico artefice del mondo, perché ne conosce l'ordine generale e i percorsi secondari che lo attraversano e lo sorreggono. La regolarità del mondo si spiega solo con il riferi– mento alla suprema razionalità dell'ordinatore. Ora, se questo principio è vero - è causa di una cosa colui che conosce la cosa in sé e il posto che le compete - come si fa a sostenere che una palla in moto è causa del moto della palla in cui si imbatte, o che quella donna, che ignora la complessa macchina del corpo umano, è la causa della generazione del figlio? Il principio di causalità, con il quale costruiamo la catena delle cause e degli effetti, è un assunto che maschera la nostra tracotanza. Si può dire al più che l'incontro delle due palle è l'occasione per l'autore del movi– mento della materia di mettere in atto il decreto della sua volontà; o che la nascita di un essere umano è la conferma dell'atto creativo divino che ha luogo in occa– sione del desiderio di avere un figlio. Oltre che dissimulare la nostra presunzione, il principio di causalità è un artifìzio, elaborato per espellere Dio dal mondo. Ma– lebranche nega alle creature una vera causalità efficiente in nome della presenza onnipervasiva di Dio - il "laico" Hume, critico allo stesso modo del principio di causalità, non ne avrà bisogno. Il passo dal pensare in Dio, quale fonte del carattere universale e necessario del conoscere, al pensare come atto di Dio, è breve, e gli idealisti lo compiranno, sollecitati dall'istanza critica - nulla fuori della coscienza - nel cui nome si consu– merà quel versante trascendente, ancora presente nel filosofo oratoriano, per il quale, anche se in Dio, non siamo Dio. L'obiezione che gli verrà mossa: come par– lare di Dio se non si è in Dio? e se si è in Dio, il nostro pensare non è che parteci– pazione alla vita divina e dunque a sua volta divino. A conferma, Malebranche precisa che le verità in tanto sono universali e in– dubitabili in quanto la nostra mente è in comunione con Dio, Ragione universale, immutabile, infinita, indipendente. Sono due momenti fondamentali del discorso - trascendenza della Ragione divina e nostra partecipazione ad essa, nettamente distinte, ma non estranee l'una all'altra 6 • Se "in me non vedo nulla di immutabile e 6 E. Levinas -A. Peperzak, Etica comefilosofia prima, Milano 1989, 41: "La visione in Dio del secondo Entretien Métaphysique di Malebranche esprime contemporaneamente il rapporto di ogni conoscenza con l'idea dell'infinito e il fatto che l'idea dell'infinito non sia dello stesso ordine delle conoscenze che vi si riferiscono. Infatti, non è possibile interpretare l'idea dell'infi-

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