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BONAVENTURA E MALEBRANCHE 229 CONCLUSIONE Malebranche e Bonaventura sono due universi di pensiero, l'uno tipico della modernità, l'altro del medioevo, l'uno destinato a dar forma e alimento al pensare, tendenzialmente immanentistico e ateo, l'altro a dar forma al pensare struttural– mente trascendente e cristocentrico; l'uno ispirato al principio di identità, entro cui cade, smarrendo progressivamente ogni alterità, l'altro costitutivamente aperto all'altro, dunque dialogale e in attesa dell'inedito. Il contrasto è evidente come la distanza teoretica. Eppure, entrambi sono "pensatori religiosi", persuasi che Dio sia lo spazio del pensare e il custode delle idee. Le loro scelte teoretiche, rigorose e feconde, hanno portato Malebranche a guardare con distacco scettico al reale em– pirico, geloso dello spazio divino delle verità guadagnate, Bonaventura a esaltare le creature nella loro singolarità; l'uno a guardare alla rivelazione cristiana come alla fonte di una maggiore razionalità, conforto e sostegno della nostra razionalità; l'altro come alla fonte del mistero che alimenta il pensare senza risolversi in esso, perché qualitativamente altro; l'uno a leggere tutto in chiave razionale, secondo una gradazione che va dal meno al più, l'altro a leggere tutto partendo dal dato rivelato, cifra del mistero che scuote la ragione, stupita, non mortificata. Sviluppando questa duplice logica siamo giunti alla conclusione, che l'una, dopo aver consumato il logos divino, provvisoriamente assorbente, ma alla fine as– sorbito, pone mano alla costruzione del logos umano e storico, quale spazio del re– gnum hominis; l'altra, dopo aver esplorato l'indole della vita trinitaria, come amore nella suprema libertà, procede al ristabilimento della logica della libertà umana, come unica logica degna di Dio a cui la creatura, fatta a sua immagine, è chiamata a ispirarsi, creando un regnum hominis secondo la logica del regnum Dei. La virata teoretica, che qui si propone, riguarda la scelta di fondo, se la verità o la bontà, se la necessità o la libertà, con la conclusione che, dopo aver fatta e spe– rimentata l'avventura della verità, con le acquisizioni prodigiose raggiunte, si ritie– ne legittimo tentare un altro percorso che vede alla fonte la bontà, la quale, nel discendere a valle, si riveste di verità, a seconda dei sentieri che percorre e degli ostacoli che supera. È la fatica, nobile e feconda, della libertà creativa. Se la verità si impone per ciò che è, la bontà si rivela come fuoco che brucia, come forza attiva, luminosa, che foggia ogni evento della storia e fa vibrare colui che si percepisce gra– tuitamente voluto, sollecitato a liberarsi dagli impulsi concupiscenziali, perché sappia creare, a sua volta, una scia luminosa, segno del suo passaggio. Anche se pa– radossale, la verità come l'apparire di ciò che non può essere smentito, che si impo-
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