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BONAVENTURA E MALEBRANCHE 225 6. Con Bonaventura verso una nuova modernita Occorre procedere alla problematizzazione del primato della verità. Se in campo filosofico ha dato luogo all'emarginazione progressiva del soggetto nella sua singolarità, in campo teologico il primato della verità ha fatto spazio a prospettive che confermano quanto sia davvero precario il concetto di verità e come faccia cadere in atteggiamenti idolatrici se non colto come forma, provvisoria e fragile, della bontà espansiva. Per Bonaventura la verità è autentica se rivestimento di bontà, altrimenti è una verità falsa. È sufficiente richiamare quel passaggio della Vite mistica, dove viene commentato la "quarta parola" del Crocifisso: Eli, Eli, lamma sabactani. In luogo di qualunque teologia vendicativa e giustizialista, si afferma la teologia dell'amore effu– sivo, che scorre attraverso la storia per addolcirne le asprezze e orientarne il corso. Quanto dovette esser grande - nota Bonaventura - la violenza del dolore, perché Gesù, contraendo tutto il corpo, gridasse! Ma bada bene di non sospettare che con questo grido il mitissimo signore Gesù cedesse a un movimento di impazienza; mostrò soltanto l'eccesso del dolore... Questa parola la pronunciò Gesù in quanto uomo, benché l'uomo fosse una sola persona con Lui, il Figlio di Dio. Disse: Dio mio; e non parlerebbe così, Egli che è un solo Dio col Padre, se non fosse insieme uomo. Ma come ha potuto ag– giungere: Perché mi hai abbandonato! Poteva forse il Padre abbandonare il suo unico Figlio? In nessun modo. Ma il benignissimo Gesù parla in questo modo come capo del corpo mistico, per tutta la Chiesa. Volendo significare quale era la propria unità con la Chiesa, sua sposa, e il suo amore per lei, dichiarò che doveva esserci sofferenza nelle sue membra come era allora nel suo capo, nel proprio corpo nato dalla Vergine 94 • Siamo al commento alla Prima lettera di san Giovanni: "Dio ha manifestato così il suo amore per noi: ha mandato nel mondo suo Figlio, l'Unico, per darci la vita" (4, 9), un commento estraneo a quella teologia penale presente in Agostino, quale inconsapevole residuo mitologizzante del suo novennale manicheismo gio– vanile, e che Bonaventura ha lasciato ai margini della riflessione teologica in nome di quell'onda d'amore che fuoriesce dal circolo trinitario e si riversa nel tempo, qualificandolo come epifania della libertà munifica di Dio. Ed è questa concezione della verità come rivestimento della bontà divina a render conto della vita trinitaria. Interrogandosi sulla ratio praecipua dell'Incarna- 94 Vitis mystica seu tractatus de passione Domini, cap. X, ( ed. Quaracchi, VIII, 175-176).
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