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BONAVENTURA EMALEBRANCHE 217 ancora inclini a considerarlo tale, ci appartiene, anzi non è che lo scenario effettivo della nostra coscienza. Si comprende, allora, perché Cartesio definisca il pensiero: Ea omnia, quatenus in nobis sunt et in nobisfiunt et in nobis eorum conscientia est: il pensiero è tutto ciò che e in quanto è in noi e in noi accade e di cui in noi c'è co– scienza. Il nostro pensare è le cose tutte, sicché non si tratta di rinviare ad altro che a se stesso, rimanendo in se stessi, unico centro di convergenza dell'essere. È il grande tema della filosofia moderna, o meglio il suo programma, ben diverso da quello medievale in genere e bonaventuriano in particolare, di carattere duale, se– gnato dal proposito di rendere festoso il canto di ringraziamento al creatore 73 • La preoccupazione di Malebranche è di garantire l'affidabilità delle verità senza per– dere Dio, il che ha luogo pensando la verità in Dio; la preoccupazione di Bonaven– tura è di creare un diverso rapporto tra l'uomo e Dio, il che ha luogo interpre– tando il reale in chiave di libertà creativa, fonte di gratitudine. L'orientamento aristotelico-averroista, con la sua matrice gerarchica tra la causa prima, le intelligenze, che sovraintendono al movimento celeste, e il mondo sublunare, escludeva una relazione immediata tra causa prima e cause seconde, sottomettendo la nostra mente a intelligenze medie, cui veniva riconosciuta una funzione solo illuminativa. L'irrigidimento di questo percorso non è agevole in– tenderlo se omettiamo di richiamare l'operazione che Aristotele mette in atto e che quanti verranno dopo di lui ripeteranno senza smentire, e cioè l'ipotesi delle sfere, che Eudosso aveva elaborato come un insieme di figure geometriche, per rendere comprensibili i fenomeni celesti. Ebbene, questo, da modello geometrico, concepito come strumento matematico - Eudosso non penserà mai che nel cielo ci sia una serie di sfere invisibili - con Aristotele diventa la realtà stessa, al punto che quella struttura pare più importante degli stessi fenomeni celesti. In breve, "Aristotele cambiò le figure geometriche d'Eudosso in sfere reali e materiali, arguen– do che le sfere muovevano i corpi celesti e che siccome questi erano sostanziali, 73 Esso fu enunciato in modo brillante da Aristotele, che ad es., nel passo 1139b 20 ss. dell'Etica nicomachea, dopo aver ribadito che il contenuto dell'epistéme non può essere diversa– mente da come è, aggiunge che, a proposito degli essenti che possono essere diversamente da co– me sono, "rimane nascosto, quando essi escono da theorein, cioè dall'osservazione, se continuino ad essere o no. Infatti, il contenuto dell'epistéme (to episteton) è di necessità. E dunque è eterno. Tutti gli essenti che sono di necessità sono infatti eterni, e gli essenti eterni sono ingenerati e in– corruttibili". È il realismo greco che sarà ripensato e sostanzialmente riproposto dai medievali.
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