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BONAVENTURA EMALEBRANCHE 215 questo è vero, ne segue che "la mente può vedere in Dio le opere di Dio, ammesso che Dio voglia mostrargli quel che in lui le rappresenta" 70 • Malebranche rende produttiva l'idea di Cartesio, secondo cui vediamo il finito nell'infinito o meglio, intanto possiamo giudicare finito qualcosa in quanto abitiamo nell'infinito. La conoscenza dell'infinito precede quella del finito. Quel che vediamo lo vediamo in Dio, e non nell'idea di Dio, perché si conosce Dio attraverso Dio stesso. Non c'è che Dio che racchiuda il mondo intelligibile, nel quale si trovano le cose come idee. Dio intende tutte le cose attraverso la propria essenza. Se questo è vero, cosa di più solido delle idee?" Il passaggio dalle idee cartesiane, modi finiti della mente in grado di rappresentare il mondo esterno, alle idee malebranchiane, archetipi increati delle cose, è struttural– mente implicato nella scelta di spiegare la conoscenza umana per partecipazione al divino: se quel che la mente conosce lo conosce perché lo vede in Dio, l'oggetto della sua conoscenza saranno le idee con cui Dio stesso conosce il mondo creabile 71 • Per puntualizzare ulteriormente il passaggio dal mondo medievale a quello moderno, si richiami il cambiamento dell'indole delle idee, non più ciò attraverso cui conosciamo qualcosa (id quo), ma ciò che conosciamo. Il realismo classico ri– tiene che il contenuto immediato del pensiero è la realtà in sé, nel senso che lasco– priamo, e l'intelletto ne è lo specchio. Le idee (species, speculum) sono il mezzo attraverso cui conosciamo la realtà, o anche, ciò con cui si conosce qualcos'altro 72 • Ebbene, proprio questo la filosofia moderna pone in discussione, perché non si giustifica affatto il darsi di quacosa d'altro dall'idea attraverso l'idea, la quale in ultima analisi non può che essere l'unico contenuto della mente, e dunque quel contenuto immediato del pensiero che il realismo intendeva come qualcos'altro rispetto al soggetto pensante. Tutto ciò che l'uomo conosce immediatamente è idea, id quod cognoscitur. Mentre nella concezione tradizionale noi scopriamo la 70 Récherche de la verité, 437. 71 E. Scribano, Angeli e beati..., 213. 72 Non è arduo intendere che è proprio qui l'acriticità della gnoseologia classica: chi mi ga– rantisce che ciò che è in me risponde a ciò che è fuori di me, se ciò è fuori di me, altro da me, anzi altrove rispetto all'anima, artefice del conoscere come adaequatio? La scienza provvederà a far fronte all'interrogativo attraverso l'esperimento; la filosofia attraverso la 'coscienza critica'. Il privilegiamento della scuola agostiniano-francescana, che avvia il recupero del carattere attivo del soggetto, da parte di Bruno Nardi, è da leggere nel contesto di questo problema e da colloca– re in questa direzione teoretica: cf. il vecchio ma ancor suggestivo Soggetto e oggetto del conoscere nellafilosofia antica emedievale, Roma 1952.

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