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BONAVENTURA EMALEBRANCHE 205 bertà dell'agente e all'oggettiva similitudine con il suo mondo ideale. "A summo Opifice nulla creatura processit nisi per Verbum aeternum" 34 • Siamo alla ragione metafisica delle cose e insieme al fondamento ultimo della verità umana, la quale è tale in quanto aggangiata a quella fonte. In fondo, siamo alla metafisica dell'essere infinito, rispetto a cui ogni ente finito è in relazione di essenziale dipendenza. Se finito, un ente rinvia a colui dal quale ha ricevuto ciò che è. Rispetto a cos'altro può percepirsi finito 35 ? Più che l'infinito a partire dal finito, è il finito che viene inteso a partire dall'infinito. Il perfetto non solo eccede ma anche precede l'imperfetto. Se sono termini relativi, il finito è tale in rapporto all'infinito, come il negativo rispetto al positivo, con il conseguente impegno a teorizzarne e custodirne la relazione. Solo l'indebolimento del potere critico dell'intelletto può spiegare il mancato riconoscimento del finito nell'infinito, nel quadro dell'essenziale dipendenza 36 • Siamo alle radici ontologiche dello stile del pensare francescano, che ha nella contuizione una delle espressioni più alte. Se la verità delle creature va colta in rapporto al mondo esemplare, l'obiettivo di Bonaventura è di portare a coscienza il primato ontologico dell'infinito perché divenga anche primato psicologico. Come intendere le cose come esemplare, se non siamo strettamente vincolati al mondo esemplare e la nostra anima non ne ri– sulti illuminata? Il mondo esemplare va inteso come cifra del pieno dispiegamento delle perfezioni, compresse o compaginate nel!'esemplato, il quale da tale rapporto risulta non umiliato, quasi ne fosse una versione, imperfetta e dunque del tutto in– feriore, ma esaltato, sospinto a trascendersi lungo un percorso senza fine. Con l'esemplarismo Bonaventura introduce alla grandezza delle creature e alla logica della loro dialettica ascensiva, offrendo il metro per la loro comprensione e valuta– zione. Tale mondo esemplare è in noi sotto forma di luce increata, da intendere ut 34 De reductione artium ad theologiam, n. 12, (ed. Quaracchi, V, 323). 35 Itinerarium, III, n. 3, (ed. Quaracchi, V, 304): "Quomodo autem sciret intellectus hoc esse ens defectivum et incompletum si nullam haberet cognitionem entis absque omni de– fectu?". In Hexaem., V, n. 32-33, (ed. Quaracchi, V, 359): "Experimemaliter, quia privationes non cognoscuntur nisi in positione causae, et illa sex dicuntur per modum defectus et priva– tionis; intel!igentialiter, quia non possunt latere animam, ut primum esse est, simplex esse est... Dum haec igitur percipit et consurgit ad divinum contuitum, dicit se habere intellectum adep– tum, quem promiserunt philosophi; et ad hoc veritas trahit". 36 Itinerarium, V, n. 4, (ed. Quaracchi, 309): "Mira est caecitas intellectus, qui non consi– derat illud quod videt prius et sine quo nihil potest cognoscere".

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