BCCCAP00000000000000000000885

BONAVENTURA EMALEBRANCHE 203 il menomo dubbio, Rivelazione di Dio che si autogiustifica e che, malgrado gli sforzi dell'uomo per renderla totalmente comprensibile, non è traducibile senza residuo in termini razionali 29 • Ciò che resta oltre non è però meno razionale. Dio è espressione di raziona– lità, metro assoluto della creazione come della redenzione. Alcune cose vanno oltre la logica razionale consueta, ma non oltre ogni logica. Il creato e la parola ri– velata costituiscono un abisso di luce, entro cui la ragione si esalta e si fortifica. La prima significativa conclusione è che la scelta creazionistica divina non è per "il migliore dei mondi possibili", bensì per leggi semplici e universali, che ga– rantiscano l'esistenza razionale delle creature. Pensare che Dio si prenda cura delle singole creature equivarrebbe a cadere in una sorta di provincialismo volgare. Più che il benessere delle singole creature, è la perfezione complessiva della sua opera che interessa, e il motivo di gloria e di onore che gliene deriva. Egli non esita a rilevare che molte sofferenze sono legate a leggi inflessibili, come poi sosterrà Leibniz. Cer– ti eventi naturali accadono secondo leggi inviolabili, non secondo gli interessi umani, e la ragione è da riporre nel fatto che Dio ha avuto di mira la perfezione architettonica del creato, più che il breve capitolo di alcuni settori o di singole creature. Nella stessa ottica del primato della razionalità trova spiegazione la gra– tuità della grazia che, come la pioggia, viene elargita indipendentemente dai meriti dei beneficiati. Anche qui prevale la legge generale di "caduta" della grazia, il cui fine è la costruzione del tempio di gloria divina, lasciando fuori quanto non occor– re o può risultare ingombrante. Più che nel mondo della gratuità, siamo nel regno della razionalità, trasparente ed efficace. Pare più che giustificata l'implacabile ironia del deista Voltaire che, oltre che prendersi gioco dell'ottimismo di Leibniz, folgora la freddezza razionale del Dio malebranchiano, dicendolo "avido di gloria", al punto da non darsi pena alcuna delle sofferenze e della dannazione di miliardi di creature, se questo è l'inevitabile prezzo del suo "onore matematico". E anche Hume denuncerà questa "superstizio– ne logica" di Dio, che preferisce non violare l'ordine geometrico da lui stesso stabi– lito, anche se ciò può esser causa contingente di sciagure e di mali spaventosi. Al con– fronto, diceva Hume, i tribunali degli uomini sono spesso più sensati e più pietosi. Ebbene - è la tesi che dovrebbe far pensare - è questo l'esito inevitabile del primato del vero, rispetto a cui le biografie individuali sono irrilevanti. Il destino di una singola creatura davanti allo splendore della verità nella sua pienezza tem- 29 Malebranche e il deismo, 164.

RkJQdWJsaXNoZXIy NDA3MTIz