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BONAVENTURA, OLIVI E LE "QUAESTIONES DE PERFECTIONE" 185 2. Nella seconda quaestio, se la contemplazione risieda in un atto dell'intel– letto o della volontà, Olivi allarga la riflessione forse in polemica con Tomma– so d'Aquino che aveva affermato "contemplatio veritatis est in intellectu" 38 3. La terza quaestio affronta un tema molto caro anche a Bonaventura (il quale ne aveva parlato, ad esempio, nella famosa epistola ad un magister inno– minato39), quello relativo allo studio della Sacra Scrittura, che è giudicato certo degno degli uomini spirituali. 4. Nella quarta quaestio Olivi sostiene che, assieme all'attività di governo e alla predicazione, anche lo studio sia di per sé attività più meritoria rispetto alle altre. 5. Nella quinta quaestio il riferimento a Bonaventura è esplicito. Olivi confer– ma e rafforza quanto sostenuto dal suo maestro: che alla emissione del voto si aggiunge la grazia coadiuvante, diminuisce l'opportunità di peccare e viene smorzata la forza che spinge a peccare ed in particolare il voto di perfezione è vicinissimo al buono e all'ottimo ed è pertanto della massima utilità 4°. Le due quaestiones successive, la sesta e la settima, sono relative al consiglio di castità. 6. Nella sesta quaestio Olivi riprende un problema lasciato aperto da Bona– ventura, il quale, a proposito della castità, aveva trattato prima la continenza coniugale, poi quella vedovile ed infine la verginità consacrata. La domanda che si pone Olivi è se quest'ultima sia più perfetta o meno della continenza coniugale. 7. Nella settima quaestio invece, Olivi parte dall'affermazione di Francesco nella Regola "Praecipio firmiter fratribus universis, ne habeant suspecta con– sortia vel consilia mulierum" 41 e si chiede se essa faccia parte del voto 38 Thomae Aquinatis Summa Theologiae I-II, q. 38, art. 4, argum. 3. 39 Epistola ad magistrum innominatum, n. 6: trad. it. in Opuscoli.francescani l, (Opere di San Bonaventura, XIV/1), Roma 1993, 99: "Ascolta ora la mia opinione sui libri e sugli arnesi e strumenti di lavoro. A gran voce la Regola affida espressamente ai frati l'autorità e l'ufficio della predicazione, e non credo che ciò si possa rinvenire in un'altra Regola. Se dunque non devono predicare favole, ma parole divine che, se non leggono, non possono conoscere e che non possono leggere se non hanno libri, è assolutamente evidente che la perfezione della regola esige, come di predicare, così d'avere dei libri", 40 Bonaventura, De peifèctione evangelica, q. IV, art. 2, ad 14 et 15, (Opere di San Bona– ventura, V/3), 300. 41 Reg. bo!!. Xl, 1.

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