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vi ha dato la vocazione e l'esempio; vi darà anche la forza e la gioia nel lavoro ». La recluta ne rimaneva presto affascinata; le parole del Maestro davano non solo una nuova convinzione, ma suscitavano anche un nuovo ardore che invogliava a correggere le vecchie abitudini•. Una lode particolare che i novizi sentirono di dover tributare, nei Processi, al loro Maestro, è questa: « Quel cuore di madre sapeva essere forte come il diamante nell'esigere i sacrifici che la Regola francescana e le costumanze del noviziato ordinano al giovane probando. Non era di quegli educatori che credono di rendere più accettevole il Vangelo a furia di smussarne le angolosità o di levigarne le asprezze ». Presentava la Regola francescana come il midollo del Vangelo, con le stesse parole di Gesù: « Il Regno dei cieli esige violenza »; occorre quindi star sempre con le armi in pugno, perché « il bel Paradiso (e lo ripeteva spesso) non è fatto per i poltroni » 10 • L'assoluta serietà, con cui il padre Maestro aveva sempre vissuto le pratiche del suo noviziato, faceva intendere ai giovani novizi come quell'anno non doveva essere un saggio di bravura a cui seguisse il riposo, ma il primo allenamento e le prime manovre per la battaglia, sempre in atto, della vita religiosa. E il lavoro interiore del novizio doveva essere talmente impegna– tivo da sopprimere all'esterno perfino la parola inutile. A chi si mo– strava più propenso a dimenare la lingua che le braccia, il buon Maestro canterellava, con un sorrisetto espressivo, il detto del beato Egidio: « Bo, bo, bo; molto dico e poco fo »; oppure poneva la conclusione alle chiacchiere con il suo ritornello famigliare: « Fate, fate; e non ciarlate! ». Così il silenzio della lingua doveva portare il giovane al silenzio dell•~~ Io», cioè di quell'orgoglio che si rivela sempre il più restio a tacere. Il silenzio dell' « Io » La perfezione ascetica è stata paragonata a un capolavoro di scul– tura: si ottiene, scalpello alla mano, con lo scheggiar via dal marmo 77

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