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La dedizione volenterosa dei sudditi costituisce la forza di una comunità religiosa, d'una provincia monastica, d'un Ordine intero, che possono essere manovrati con sicurezza e rendi– mento dai superiori responsabili degli impegni collettivi nella Chiesa e nella società. È nella applicazione di questa strategia che il re Carlo Al– berto III voleva che le sue milizie fossero « obbedienti come tanti cappuccini ». L'esserne stato p. Ignazio un pronto esecutore nella sua disponibilità a tutte le consegne, invero assai ordinarie, nella prima fase della sua vita claustrale, dai trentuno ai quaranta cinque anni ( 1717-1731), gli valse l'incarico di essere educatore presso le nùove leve cappuccine, in qualità di maestro dei novizi, per quattordici anni nel convento di Mondovì ( 1731- 1744). La duplice clausura d'un noviziato non chiudeva la vastità del suo animo; bastò la lettera d'un confratello missionario nel Congo, che era prossimo a perdere completamente la vista, per ifargli dono dei propri occhi, in una offerta-cambio a Dio. La gravità di questa malattia mutuata costrinse i superiori a impie– garlo nei compiti comuni e occasionali del ministero sacerdo– tale, nell'ambito del grande convento del Monte, a Torino, abitato da una comunità di più di settanta religiosi. L'età sempre più venerabile dai sessant'anni alla morte, la figura piccola, smilza e sofferente, l'esperienza interiore, la piena maturità spirituale, la prontezza giovanile della carità resero efficacissima la sua operosità sacerdotale, nel servizio li– turgico, nelle lunghe ore del confessionale, negli incontri sociali, V
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