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Ed ora la beatificazione del piemontese p. Ignazio da San– thià (t 1770) riporta alla ribalta agiografica una santità mona– stica e sacerdotale, che, per il suo riserbo, era stata avvertita dalle anime nel silenzio d'una ammirazione devota o nel sus– surro della fama popolare. Nella sua prima giovinezza sacerdotale, don Lorenzo Mau– rizio Belvisotti esercitò la funzione di istitutore nella casa del conte Avogadro di Casanova; per le sue doti di ministero ecclesiastico venne proposto prima a rettore del Collegio par– rocchiale di Santhià e poi, in concorrenza, a parroco di Casa– nova; ma egli precluse queste strade promettenti con l'adesione alla vocazione cappuccina; l'accettò e la perseguì con una moti– vazione di squisita sensibilità ascetica: « Nelle opere della mia vita sacerdotale, io costato di avere sempre fatto la mia propria volontà; il che mi rende malsicuro... Sento, padre molto reve– rendo (al ministro provinciale che l'esaminava), sento nel mio cuore una voce che sempre mi ripete: Per servire Dio a dovere, tu devi fare la divina volontà, assoggettandoti alla obbe– dienza». Questa norma evangelica e classica del «rinunzia se stesso» (Matt. XVI, 24) sarà la molla del dinamismo di padre Ignazio da Santhià. Di propria iniziativa tende ad ecclissarsi nell'uni– formità della disciplina conventuale, eh'egli osserva con la doci– lità di un « novizio perpetuo », dalla maturità dei trent'anni ( 1716) fino alla veneranda longevità degli ottanta quattro anni (1770). A conferma di questa disposizione programmatica preferiva rinnovare in pubblico ogni anno la professione reli– giosa nelle mani del superiore. IV

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