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Poi recitò il Confiteor e con voce sempre ferma rispose a tutte le preghiere del rito. « Non ebbi bisogno di consolarlo - dice ancora padre Ermenegildo, - giacché appariva così lieto, consolato e corag– gioso, come se non avesse akun male » 2 • Il testamento dell'anima Questa letizia aveva del sovrumano e ne furono affascinati e attratti tutti i confratelli; nonostante la spossatezza del povero febbricitante, non sapevano privarsi del piacere di fargli visita, di chiedere una parola, una benedizione, che tutti sentivano essere le ultime. Si rinnovava così la scena - dice padre Paolo Francesco da Gas– sino - del transito di san Francesco, circondato dalla corona dei suoi :figli ansiosi di ricevere il Testamento della sua anima. Più ansioso di tutti, e del malato stesso, era padre Ermenegildo: aveva tante raccomandazioni da fare al suo suddito in partenza, e avrebbe voluto che le sue raccomandazioni avessero l'efficacia di un comando. Gli raccomandò se stesso, la famiglia religiosa del Monte, la Provincia cappuccina del Piemonte, in quei giorni oltremodo affiitta. Ma infine la vi.sta di tanti frati inginocchiati presso il suo letto e in attesa d'un ricordo, sorprende il morente e vela il suo sorriso di un umile stupore. Dapprima esita a parlare, poi prevale la voce del cuore. Imparte la sua ultima benedizione, e nel silenzio rotto da singhiozzi, risuonano queste ultime parole: « Ma che ricordo posso darvi io? Che benedizione... ? Ecco: f ac– ciamo la santa obbedienza; Dio è colui che ci benedice! » •. Gli avevano chiesto un ricordo; ora i frati piangenti sentivano che il padre Ignazio aveva dato loro più che un ricordo. Aveva dettato il Testamento della sua anima, il messaggio della sua vita, il segreto della sua santità, e l'aveva affidato loro con l'amore dell'artista che affida agli allievi il segreto della sua arte e della sua grandezza. Con questo il padre Ignazio aveva detto tutto. E tacque per sempre. Così le sue ultime parole collimano pienamente con le prime del– l'ingresso alla vita religiosa: « Per servire Dio a dovere, devi fare la divina volontà assoggettandoti all'obbedienza». 283

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