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bloccato il genere di vita che correva felicemente ormai da un ven– tennio; accettò senza rammarico, anzi vide nelle disposizioni del suo Superiore i primi cenni della voce che lo chiamava a non più scendere dal Monte, e a disporsi meglio all'ultima ascensione. Sempre sereno guardò un istante il suo povero frate corpo acca– sciato: capì che il Superiore aveva ragione. Non stupi nemmeno quando si vide invitato, nel 1769, a lasciare la cella e scendere nell'infermeria del pianterreno, dato che le scale non erano più fatte per lui•. Espresse un solo desiderio. La nuqva cella, più ampia e conforte– vole, ben soleggiata, poteva servire a qualche altro infermo più biso– gnoso. Per lui, che « non aveva malattie da medico », poteva bastare lo sgabuzzino all'imboccatura del corridoio, che dal refettorio immette nell'infermeria; era un sottoscala cieco, dove si riponevano stracci e scope! Fra Ponziano, che lo stava accompagnando all'infermeria, nel– l'udire quella proposta fatta con « sì umile convinzione », non seppe rispondere che con due lagrime •. In una lettera all'amico cavaliere Risico del Palazzolo, padre Igna– zio, in data 24 agosto 1769, dà notizia del suo nuovo genere di vita: È già da molto tempo che mi trovo in tal debolezza, che da qualche mese in qua, non esco più di convento, e nemmeno posso sapere se più ne uscirò. Sto continuamente nell'infermeria, e sebbene non possa più concorrere all'osservanza regolare né di giorno né di notte, questo però non m'impedisce di pregare il Signore per la S.V.Ill.ma (Lett. III, 6). I giorni dell'infermeria: « Padron mio» Alla cura dei malati erano addetti, oltre il medico padre Rufino da Roccavione, fra Fedele « speziale e chirurgo » e fra Secondo, aiutante; ma l'infermiere particolare assegnato al padre Ignazio per gli ultimi dieci mesi, sarà fra Severino da Revigliasco. A costui siamo debitori d'una interessante « registrazione » delle parole e del comportamento del suo assistito. Nella deposizione giurata, fra Severino non rifinisce di ripetere con fierezza ad ogni sua asserzione quest'intercalare: « At– testo con mio giuramento», dove vi pare di udire ancora, commosso e autorevole, l'accento del padrone che testimonia del suo suddito. 269
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