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accolto nella nostra infermeria di Bergamo nei primi giorni di dicem– bre del 1889. Era ammalato di sfinimento per estrema debolezza. Gli esempi di virtù veramepte da santo datimi del servo di Dio in quei mesi sono incancellabili dalla mia memoria. Per tutto ciò che di cibo e medicine gli si doveva dare, prendeva il meno possibile, salva l'obbedienza. Desiderava rimaner solo per attendere continuamente alla preghiera ed io, per quante volte gli entrassi in cella, non lo trovai mai occupato che in orazione. Prima del santo Natale celebrò la santa Messa nell'oratorio della infermeria per tre mattine: ricordo che per due mattine vi impiegò tre ore e la terza anche di più, e perciò il p. guardiano, temendone per la sua vita, gli sospese la celebrazione. In còmpenso si procurò di far celebrare un altro padre per comunicare l'infermo. E' impos– sibile dire con quale fervore p. Innocenzo ricevesse la ss. comunione; che fu quasi ogni giorno. Si vedeva che egli, presentendo prossimo il suo .fine, non voleva perdere un sol minuto per la preparazione alla sua morte. Già dissi quanto a stento si sia lasciato curare la grande piaga che aveva per decubito e che dell'unzione ordinatagli dal medico io infermiere non potei far uso che una sola volta. Essendomi io di ciò lamentato con p. Arsenio, dicendo: Come mai questo benedetto santo è così ostinato a rifiutar la mia opera? P. Ar– senio mi rispose: I santi sanno bene fin dove giunge l'obbedienza. Io dovetti ben constatàre quanto il servo di Dio avesse a soffrire, per quanti sforzi egli impiegasse a dissimularlo; e constatai pure il nulla che egli faceva per diminuire il suo patire, perchè come gli si acconciava il letto alla sera si trovava al mattino senza che egli avesse mosso un dito. Mai dal suo labbro una piccola parola di lamento. Per quanto gli si chiedesse della sua salute, con imperturbata sere– nità rispondeva sempre: Io sto bene. Alle ingiunzioni del medico e anche del p. guardiano di sforzarsi e di prendere cibo e medicine, ben ·si vedeva come il servo di Dio intendeva ottemperare, ma anche il poco gli pareva che bastasse » (30). Non attenzioni dai confratelli e dai superiori, ma solitudine desi– derava p. Innocenzo. Egli sentiva assai più bruciante l'amor di Dio che il morso del suo male. Esser solo era la sua brama e la sua medi– cina: perchè voleva ripetere infinite volte al suo Dio che lo amava con tutta l'anima. Un giorno uno studente gli entra in cella. Il Beato (30) P., p. ~64, 6-11. Il teste è: inesatto su la cronologia. Cfr. P. V. Bo.NARI, o.f.m. cap., o. c. p. 534; AF., voi. XXI (1890), p. 753. . -243-
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