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fu mai scrupoloso, ma ebbe sempre, soprattutto negli ultimi venti anni, il dono inquietante di una coscienza delicatissima. « Per le più piccole mancanze, osserva nei processi canonici un suo con– fessore che lo conobbe assai bene, egli provava una gran pena di coscienza e tosto desiderava riconciliarsi. Non era scrupoloso, ma aveva così lucida cognizione della perfezione da rilevare subito anche il minimo neo nella virtù». Un altro sacerdote aggiunge: « Ebbe una coscienza delicatissima. Sentiva di sè gran dispiacere e disgusto al solo dubbio di aver offeso il suo Dio venialmente, teme– va sempre di cadere in peccato e tale timore lo faceva tremare da capo a piedi,~ (17). Dalla citata nota per la professione solenne risulta ancora, accanto alla confermata devozione alla Madonna e al ss. Sacramento, il pen– siero della morte. Apparentemente ciò potrebbe sembrar lontano dal problema che abbiamo accennato; e invece ne è un vivo ed operoso riflesso. La cattiva morte non è che l'inizio dell'eternità separata da Dio, come il peccato, che ne è la causa, è la separazione temporanea in questa vita. Da buon teologo il Beato sapeva che la buona morte è una delle grazie più grandi, un dono che Dio concede a chi vuole, con libera e insindacabile volontà. Non che dubitasse della bontà divina o fosse agitato dal così detto problema della predestinazione. La sua preoccupazione, esattamente, sorgeva dal pensiero di poter de– meritare ogni momento con la sua condotta il supremo favore di Dio. Noi conosciamo ormai con quale convinzione p. Innocenzo pensava all'eternità e possiamo intuire la grandezza del dramma che si svolgeva nel suo spirito. Ebbene questo dramma lo seguirà, pau– roso e tormentoso compagno, fin quasi alla morte. Per esser pronto a morire, per morir bene, soprattutto per non esser separato da Dio nell'eternità p. Innocenzo vigilerà su se stesso, macererà il suo corpo, prolungherà le sue veglie, chiederà con frequenza l'assoluzione sacramentale (18). Questa nota, pur così breve e scarna, stesa dal Beato in occasione della sua professione so– lenne, diviene per noi una luminosa conferma di quell'ansia interiore che già abbiamo indicato come la caratteristica e l'essenza della sua santità, cioè la brama tormentosa e insaziata dell'unione con Dio. (17) P., p. 172, 3: deposizione di p. Aurelio da Pieve Delmona; 178, 23: deposizione di p. Fedele da Brivio. (18) P., p. 178, 23: dove p. Fedele da Brivio dichiara: « Continuò dieci giorni di seguito a volersi confessare da me e ogni sera mi veniva in cella per confessarsi ». Cfr. anche p., 197, 80. - 134 -

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