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6 AZIONEl E DOLORE NEL DIARIO DI P. IGNAZIO DA ISPRA Io vivo qui tutto solo, isolato dalla società umana. Soffro atrocemente: ma più ancora soffro perchè vedo il grande lavoro che c'è da fare, e io, qui incarcerato, legato mani e piedi, non posso andare, non posso lavorare, non posso correre in soccorso di tante anime bisognose. Dopo 20 anni d'indefesso lavoro per regioni inospiti, e aver procurato tutto ciò che è capace di stancare, affaticare, deprimere e uccidere, ancor pieno di vigore ed energie sono oggi qui immobile e come legato mani e piedi>> (3). Questi passi, dal contenuto tanto umano e commovente, lasciano intrave– dere il dramma intimo vissuto dal povero lebbroso accanto al martirio del corpo, e cioè la forzata inazione a cui lo condannò la lebbra. Con termini ancor più incisivi, suggeritigli dal preciso ricordo dell'attività d'un giorno, scriveva nel 1932 alla insegnante di Asso (Como) Maria Benaglio : <e ••• Sono tutto solo col buon Dio in un piccolo, basso tugurio che io stesso mi son fatto. In altri tempi mi sono trovato in luoghi ove erano molti lebbrosi sparsi qua e là, e ho dovuto somministrare più volte gli uffici del mio ministero e assisterli in morte... Da parecchio tempo missionavo in questa povera Diocesi di Pesqueira, portando in me il terribile bacillo della lebbra... Ho percorso quasi tutta la Diocesi col vescovo o solo, ho portato sulle mie spalle molti mattoni, pietre, travi, per costruire chiese, cappelle, cimiteri. I-Io sudato molto, ho provato molta fame, molta sete e sonno... Sono stato fatto segno a colpi di fucile, e fui bastonato e minacciato di morte; ho viaggiato ~olto a cavallo, sfinito dalla stanchezza, bruciato dal sole tropicale, ho resistito alle più dure fatiche, am– ministrato migliaia di battesimi, cresime, matrimoni, estreme unzioni, ho pre– dicato la parola di Dio... Ora non posso più far nulla : ho perduto completa– mente la voce; le gambe i piedi piagati non mi reggono più; le mani sono gonfie, le unghie sparite. Grande sacrificio dover vivere qui j.mmobile. Sono come un leone ferito e incatenato. Vorrei andare, correre, predicare, lavorare... C'è tanto bisogno! E mi veggo qui incatenato dalla terribile lebbra. O Dio! O Dio!» (4). Dopo 20 anni di bruciante ardore missionario, d'energie ancora esuberanti, instancabilè, risospinto dal martoriante desiderio della salvezza dei fratelli, P. Ignazio nella pienezza della maturità è un misero relitto umano che va dis– solvendosi. E' questo il dramma che dà alla sua anima, carica di tanta mo– derna sensibilità apostolica, quella risonanza interiore di cui il Diario e le Lettere sono eco fedele. In queste roventi pagione, intessute di azione e 11i martirio, l'umile figura del missionario cappuccino acquista una nobiltà im– pareggiabile (5). (3) Ib., p. 239. (4) Annali Francescani (Periodico bimensile del Terz'Ordine e delle Missioni dei Frati Minori Cappuccini Lombardi), a. LXIII, Milano, 1932, p. 316. (5) Il Diario o, diremmo meglio, i ricordi della sua vita missionaria, uscirono a puntate sul periodico delle Missioni dei Minori Cappuccini: Il Massaia. Cfr. a. XIV, 1927, P. 285-286; a. XV, 1928, p. 12-14; a. XVI, 1929, p. 141-143, 161-163, 217-219, 239-241, 257-261, 285-287; a. XVII, 1930, P. 10-13. 84-87, 181-183; a. XVIII, 1931, p. 85-88; a. XIX, 1932, p. 54-56. - Per le Lettere pubblicate cfr. Il Massaia, a. XIX, 1932, p. 56; a. XXI, P. 145;

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