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Cap. I • Nel Dir. Rom. dai primcrdi al sec. Vll d.C. 29 2. Effetti. Nei periodi antecedenti all'istituzione dei tribunali delle quaestiones perpetuae la confessione emessa dall'accusato nel giudizio criminale è soltanto un abbandono della lite, una ces– sione d'armi. Essa perciò esonera l'accnsatore dall'addurre prove e rende superfluo ogni ulteriore accertamento da parte del giu– dice. Esige pertanto l'immediata emissione della sentenza, che deve essere eseguita senza frapporre altre formalità procedurali; ciò è certo quando la confessione viene resa nel processo di se– conda istanza svolto presso gli iudicia populi e le quaestiones extraordinariae, perchè questi tribunali non ammettono ap– pello ( 188); probabilmente lo stesso deve dirsi per la confessio– ne emessa nei giudizi di prima istanza. svolti presso i tribunali dei: quaestores parricidi, duumviri perduellionis e tribuni ple– bis per la impossibilità di conciliare ia confessione - che dice abbandono della lite o cessione d'armi da parte del reo - con la volontà di appellare del medesimo. Al tempo delle quaestiones perpetue e della cognitio extra ordinem introdotta dagli Imperatori gli effetti della confessione sono alquanto diversi. Essendo questa, non più una cessione di armi o un abbandono della lite da par.e del reo, ma soltanto una prova, spesso fallace ( 189), fornita dal medesimo, non esime il giudice dal fare ulteriori investigazioni, per accertarsi della ve– rità di quanto è stato confessato. .Per questo l'Imperatore Se– vero: « ... rescripsit, confessiones reorum pro exploratis facino– ribus haberi non oportere, si nulla probatio religionem cogno– scentis instruat )) (190). Il giudice ncn può quindi pronunziare la sentenza di condanna subito dopo l'emissione della confes– sione (191). Ciò sta a dire, che il solo fatto della emissione di (188) WILLEMS P., o. c., pp. 177-178. (189) D. XLVHI. 18. 1. 23; D. XLVIII. 18. }. 27. (190) D. XLVIII. 18. J. 17; GoTHOFREDUS D., o. c., in D. XLVIII. l8. 1. 17, nota 36,. 3.7. (191) D. XLVIII. 3. 5.