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96 La confessione delle parti nel proc. can. gere una sentenza, anche quando, essendo frutto di una con– fessione falsa, fosse difforme dalla verità oggettiva; d) rispetto alla soluzione della lite il processo civile ro– mano attraverso la evoluzione storica della triplice forma di pro– cedura (per legis actiones, per formulas, extra ordinem) è ca– ratterizzato dalla graduale scomparsa del potere privato delle parti e dall'intervento progressivamente sempre più decisorio dello Stato, che finisce poi coll'arrogarsi ogni potere nel pro– cesso, escludendo assolutamente quello dei litiganti. Nei primi dieci secoli d'applicazione il processo civile canonico, derivato nella sua struttura tecnica dalla procedura extraordinaria ro– mana, non presenta nel suo svolgimento tracce di potere auto– nomo delle parti. Alcuni commentatori del Corpus Iuris Cano– nici le vollero vedere nella confessione civile in questione, in quanto con essa il confiteute liberava l'avversario dall'onere della prova; alcuni canonisti, poi, seguendoli, sono giunti a vedere nella confessione tale una autonomia del confitente, da rite– nerla una dichiarazione di volontà, o meglio, un negozio giu– ridico capace di imporre al giudice il senso della sentenza. La posizione di questi canonisti e quella dei commentatori del Cor– pus Iuris Canonici, che li precedettero, sono in assoluto con– trasto con l'evoluzione del processo romano e con la economia di quello canonico, in quanto ammettono un ritorno di quest'ul– timo a quella che fu la struttura tecnica del primitivo ordo iudiciorum (procedura: per legis actiones e per formulas) dei romani, nel quale l'autonomia delle parti era rilevante. Tale stridente contrasto non esiste per la teoria, che fa della con– fessione del can. 1751 una prova; e) nel processo civile canonico, pervaso sempre dalla aequitas, la quale esige sempre, che la sentenza sia conforme alla verità oggettiva, la confessione delle parti va sempre sog– getta alla libera valutazione del giudice. Questo già lasciava in– tendere la «Didascalia)) quando al n. 2, cap. 47, lib. II diceva: « ... ita iudicetis, quemadmodum et vos iudicabimini, quasi iu-

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