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-4- sante per la storia, col quale si volle provvedere ·alla necessaria « quiete dei monasteri», e si decise che il Vescovo non osasse di fare cosa al– cuna che potesse recare disturbo, come per esempio: non collocasse in monastero la sua cattedra, né vi esercitasse la sua potestà con dare alcun ordine di sorta, se non pregato dall'Abate, al quale solamente avrebbero dovuto sottostare i monaci, ecc. E si stabilì infine che nes– sun Vescovo e nessun secolare recasse molestia di qualsiasi genere, affinché i monaci « lontani da ogni disturbo e vessazioni, con tutta de– vozione possano compiere il loro quotidiano dovere ». I Vescovi pre- • senti, appena udito il decreto, del Papa, risposero unanimi: « Ci con– gratuliamo per la libertà dei monaci, e per quello che ora Vostra Bea– titudine ha stabilito ». Dopo di che vi furono dei Vescovi i quali do– mandarono che il decreto venisse esteso anche ad altri monasteri fuori di Roma, come si può vedere nel Bullario cassinese. (Il celebre Bixius trovò il decreto nella Bibliot. Vaticana, tra gli altri Concili; PASSERINI, De statib. Homin., T. 3, Quaest. 189, n. 10, insp. 10, n. 974). Altri esempi, tra i più antichi e conosciuti dalla storia: Papa Ono– rio I, nel 628, concede l'esenzione al Monastero di Bobbio. Papa Zac– cariq, a Cassino, nel 741. Gregorio IV a quello di Perugia, nell'835. Urbano II a Cava, nel 1092. Alessandro III, nel 1176, a quello di Fi– renze. Si trattava di concessioni singole, con bolle o decreti, non per legge generale; e si trattava di esenzioni parziali, ottenute sovente attraverso un pio atto, detto « di filiale donazione », e consisteva nel fatto che il monastero donava se stesso a San Pietro. Il Pontefice accettava la donazione spontanea, e li accoglieva sotto la sua particolare tutela. In tal maniera, (singolare davvero!. ..) la « libertas romana » diventa la liberazione dalla potestà del Vescovo, almeno parzialmente. Dai .documenti di concessione apparisce evidente che i Pontefici col privi– legio intendevano di conservare e tutelare la unità e l'uniformità di Tegime nei monasteri, e per promuo,vere maggiormente la disciplina regolare, non solo, ma « apertis verbis », ancora per affermare l'auto– :rità del loro primato pontificio, in quella identica maniera che ie su– preme autorità civili dell'epoca, Imperatori e Re, esimevano perso– naggi nobili, città e territori dalla potestà dei signori tenitoriali, assog– gettandoli direttamente e totalmente a se stessi. (Cfr. ArCHNER, § 105, 6). Dal secolo XII ormai tutti i monasteri avevano ottenuto, o in un modo o in un altro, legittimamente l'esenzione; anzi gli Abbati ave– vano conseguito addirittura la giurisdizione quasi episcopale, non sol– tanto sui loro rispettivi monaci, ma anche sul clero secolare e sui fe– ,deli nel territorio circostante al monastero. Appresso, dopo i singoli monasteri, vennero iutieri Ordini religiosi ad ottene~e l'esenzione, quando incominciarono nella Chiesa gli Or– dini Regolari, e in seguito l'ottennero anche Capitoli, Parrocchie, Luo– ghi pii e persone fisiche... Una certa facilità di ammettere le esenzioni poteva impedire la tranquilla amministrazione delle Diocesi: ne nac-

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