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16 Bernardino de Armellada more, formalmente distinto dall'aspetto di concupiscenza che implica già necessità o utilitarismo. In questo stadio primigenio si configurano le rela– zioni dell'uomo con Dio. In questo amore libero poggia la possibilità che Dio, senza alcuna necessità, per pura gratuità, si comunichi in modo im– mediato all'uomo 31 • La frase, ripetutamente adoperata da Duns Scoto per negare ogni relazione necessaria dell'essere creato aaturale e soprannatu– rale con Dio, è che «Dio è oggetto volontario» 32 • Si manifesta liberamente senza possibilità di qualsiasi esigenza da parte della creatura. Tutto pro– viene dall'amore perché Dio è amore, «Deus caritas est» 33 • Secondo le nostre possibilità umane di espressione questo vuol dire che Dio non è un imponente meccanismo di forze inesorabili, ma effusione eterna di un amore radicale che, nello stesso Dio, non è un amar se stesso perché è buono per lui stesso, ma perché è buono in sé. Quel che si può chiamare riflessione sul proprio diletto, compiacenza infinitamente tranquillizzante nel proprio bene, viene ad essere un momento (segno) successivo, formal– mente distinto da quella prima quasi uscita da se stesso verso l'assolutezza della propria bontà. Questo amore-carità è chiamato da Scoto «amor iusti– tiae», amore di giustizia, cioè, quello richiesto dalla stessa realtà del bene, prima di ogni derivazione utilitaristica o egoista 34 • Questo amore carità, 31 «... beatitudo confertur tamquam praemium pro meritis quae Deus accep– tat tamquam digna praemio, et per consequens non naturali necessitate sequitur ad actus nostros qualescumque sed contingenter datur a Deo, actus aliquos in ordine ad ipsum tamquam meritorios acceptante. Istud non est naturaliter scibile... ». Ord. pro!. p. 1, q. un.; Vat. I, n. 18, p. 12. 32 «••• Deus ut haec essentia in se, non cognoscitur naturaliter a nobis, quia sub ratione talis cognoscibilis est obiectum voluntarium, non naturale, nisi respectu sui intellectus tantum. Et ideo a nullo intellectu creato potesi sub ratione huius essen– tiae ut haec est naturalìter cognosci, nec aliqua essentia naturaliter cognoscibilis a nobis sufficienter ostendit hanc essentiam ut haec, nec per similitudinem univoca– tionis nec imitationis. Univocatio enim non est nisi in generalibus rationibus; imita– tio etiam deficit, quia imperfecta, quia creatura imperfecte eum imitatur». Ord. I, d. 3, p. 1, q.1-2; Vat. III, n. 57, p. 39. 33 JGv 4,16. 34 «Hanc virtutem affectivam perficientem voluntatem in auantum habet affectio– nem iustitiae, voco charitatem». Ord. III, d. 27, q. un. n. 2; XV, 356a. Quindi, soltanto l'amore di amicizia con cui noi amiamo Dio indipendentemente da ogni relazione alle creature, merita propriamente il nome di carità. L'oggetto formale della carità è la bontà assoluta, senza limiti, di Dio: «... ratio obiectiva (actus et habitus carita– tis) est ratio Dei in se...; igitur in nulla natura, sive creata sive increata, potest per– fecte quietari (potentia), nisi in i!la in qua est perfecta ratio entitatis, tale autem est solum ens primum, non sub ratione a!iqua relativa, sed ratione qua est hoc ens».

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